Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, 25 novembre 2025
Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne
25 novembre 2025

Intervento degli alunni e delle alunne della Scuola Secondaria di primo grado di Piasco
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A scuola abbiamo parlato di diritti. Abbiamo parlato di diritti violati. Abbiamo parlato di discriminazioni. Discriminare significa fare differenza, distinzione tra le persone, sulla base di categorie di appartenenza e pregiudizi.
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Le principali forme di discriminazioni sono il razzismo, la xenofobia, l'omofobia o il maschilismo, la convinzione che l’uomo maschio sia superiore alla donna.
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La violenza contro le donne è il peggiore e più vile modo in cui questa pretesa di superiorità si manifesta.
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Nel 2025 in Italia sono state uccise più di 80 donne. Il 90% di loro sono morte in ambito familiare o affettivo. Significa che sono state uccise da un partner, un ex partner, un padre o un fratello.
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Ci sono però altri modi e altri ambiti in cui le disparità di genere, cioè le discriminazioni, le disuguaglianze tra uomini e donne si manifestano e riguardano ragazze e bambine, come noi, in tutto il mondo.
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Secondo i dati UNICEF, nel mondo 600 milioni di bambine e ragazze avrebbero le potenzialità per diventare imprenditrici, scienziate, leader politiche capaci di dare vita a importanti cambiamenti…
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Ma quotidianamente molte di loro incontrano barriere che ostacolano questo percorso: nell’istruzione, nel lavoro, nell’amore.
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Nel mondo, il 10% delle bambine in età da scuola primaria non la frequenta. 131 milioni di ragazze nel mondo sono fuori dalla scuola.
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Solo il 66% dei Paesi del mondo ha raggiunto la parità di genere nell’istruzione primaria. E solo il 25% del Paesi del mondo ha raggiunto la parità di genere nell’istruzione secondaria superiore.
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Nel mondo, 1 ragazza su 3, tra i 15 e i 29 anni, non riceve un’istruzione e non lavora: vi è infatti la convinzione che alcuni compiti siano di esclusiva competenza femminile: le faccende domestiche, la cura dei figli o dei fratelli.
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Sono attività familiari che impediscono alle bambine di andare a scuola, limitando le loro ambizioni e le loro possibilità future.
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Un altro ambito in cui si manifestano le differenze di genere sono i matrimoni precoci: ogni anno, nel mondo, sono circa 12 milioni le spose bambine e, se questa tendenza non dovesse attenuarsi, entro il 2030, altri 150 milioni di ragazze si sposeranno prima di compiere 18 anni.
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L’articolo 21 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani afferma il diritto per tutti gli individui alla partecipazione e alla rappresentanza politica.
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Significa che tutti i cittadini, uomini e donne, dovrebbero poter partecipare alla vita politica del proprio Paese ed essere rappresentati in Parlamento.
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Questo diritto non è garantito ovunque. In Oman e in Kuwait le donne in Parlamento sono il 2%, in Ungheria appena il 13%. In Italia sono il 35% ed è la percentuale più alta nella storia della Repubblica italiana.
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Un’eccezione è costituita dal Rwanda, uno degli stati più poveri del mondo, dove però le donne in Parlamento sono addirittura il 66%.
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Uno degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, che è stata sottoscritta nel 2015 dagli stati membri dell’ONU, prevede di raggiungere la parità di genere tra uomini e donne entro il 2030.
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Questo significa garantire l’uguaglianza tra uomini e donne e garantire alle donne di emanciparsi, liberandole da uno stato di inferiorità che purtroppo, ancora troppo spesso, si manifesta sotto forma di violenza.
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Molto è stato fatto, ma il traguardo è ancora lontano.
Il potere delle parole
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Il linguaggio è un’arma potente perché rappresenta il modo di pensare di una persona, di una società.
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E’ importante riflettere su come chiamiamo le cose e le persone e non accettare un linguaggio che offende o denigra.
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Talvolta tramite il linguaggio si può normalizzare e sminuire la violenza e la discriminazione, specialmente attraverso le definizioni che diamo alle donne.
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La violenza non è solo fisica, inizia molto prima, con il modo in cui pensiamo e parliamo delle donne. Non è solo il gesto che ferisce o uccide.
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È la parola, è l'idea che c'è dietro. Quell'idea che la donna sia un oggetto, una cosa di proprietà.
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Vi è la necessità di cambiare la narrazione culturale, partendo dall'educazione, dall’istruzione di qualità.
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La violenza non ha a che fare con i sentimenti d’amore. Non è uno scatto d'ira, è una scelta. È la scelta di sopraffare, di esercitare il potere di dominio.
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Dovremmo rovesciare gli stereotipi di genere nelle storie che leggiamo alle bambine e ai bambini, fin dalle favole, incoraggiando l'autonomia e la parità di ruolo tra maschi e femmine.
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Il cambiamento deve partire dall'educazione al rispetto, deve partire dalla cultura. Dobbiamo smettere di trovare attenuanti alla violenza che non è mai giustificabile.
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Il cambiamento inizia da noi.





